Quando mi guardo indietro vedo più che altro un misto di sfortuna e di scelte errate, qualche scelta giusta l'ho anche presa ed ancora oggi mi ci appiglio per non annegare. Credere in qualcosa è indispensabile, che sia una carriera, l'ascesi artistica o qualche religione alcolica. Non si sopravvive vuoti. Ci hanno parlato di redenzione, di peccati mortali di inferno e gironi danteschi ma cosa c'è di più infernale del "sentire"?
Patire la sofferenza del mondo sulla pelle, l'impossibilità di vivere. Ho la certezza che il concetto di individualità si possa generalizzare con l'esperienza di vita che si sta vivendo, come il concetto di inferno, è tangibile e non solo una parola che richiama scenari fantascientifici. È vivo e coincide con la sofferenza, l'incomunicabilità la paura. L'essere in divenire lenisce momentaneamente l'inferno perché ci fa sperare, ma cosa vuoi sperare se ogni passo guardato indietro è un macigno in più nell'anima? Se davanti c'è la morte e dietro anche. La fuga dalla convenzione chiamata realtà è l'unica vera via, la follia il margine del mondo, conduce alla pazzia si; ma una lucida pazzia non l'inutile andare avanti dei giorni pieni di impegni sull'agenda e vuoto di vita.
martedì 11 ottobre 2016
Inutile
lunedì 3 ottobre 2016
Parla della persona che ammiri di più
Alle elementari scommetto che sarà capitato quasi a tutti voi di trovarvi di fronte allo svolgimento del tema "parla della persona che ammiri di più" il mio lo ricordo ancora con rara vividezza nonostante siano passati diciassette anni. In quinta elementare la persona che ammiravo di più era mia madre, mi ricordo che scrissi che l'ammiravo perché era bella e mi piaceva andare a fare la spesa con lei, avevo incluso anche un disegno di noi due intente a fare compere, ricordo che il rito della spesa era qualcosa di magico per me. Quando eravamo insieme nel supermercato si creava un bel clima disteso, lei era felice e questo di riflesso rendeva felice me. A 10 anni quando mi chiedevano come sarei voluta essere da grande avrei senza dubbio risposto voglio essere come la mia mamma, vorrei essere lei. Era proprio così e così è stato per tanto tempo, idealizzavo mia madre. Lei non era la classica mamma chioccia affettuosa, o meglio, lo era ad intermittenza. C'erano delle volte in cui poteva essere la persona più dolce ed amorevole del mondo e se era un momento particolarmente buono io ed i miei fratelli facevamo a gara per starle vicino, perché poteva essere estremamente generosa e dolce. Il contrappasso di quei momenti di idillio erano momenti degni di un girone dantesco. Succedeva così senza preavviso ne motivo apparente, in un momento potevi passare da figlio amato e perfetto a demonio, e allora volavano urla, insulti degni di un qualsiasi bullo di periferia e non-sense. Non vali niente non sei capace di fare niente, maledico il giorno che sei nato, sei la causa di tutti i miei problemi. Dopo tutto quello che rimaneva in me, a 10 anni, era un profondo senso di vuoto. Non capito perché mi fossi meritata tutto quell'odio, cercavo disperatamente di dare un senso alla situazione ma non potevo accettare che quell'essere angelicato così dolce e perfetto fosse crudele senza motivo quindi, evidentemente, il problema ero io dovevo per forza essere io. Ero io ad essere cattiva, una figlia indegna, egoista e perfida. E proprio a quell'età cominciai ad odiarmi, sperando che la bambina cattiva che viveva in me potesse morire prima o poi, sognando di far felice la mia mamma anelando alla serenità come la cosa più desiderabile del mondo. E quindi ho vissuto ad intermittenza, un momento ero brava bellissima e la figlia migliore ed il momento dopo ero cattiva, brutta ed una vera disgrazia. Oggi poco è cambiato, almeno per lei che è sempre in balìa dei suoi sbalzi emotivi con il suo interruttore on/off ed io ancora cerco di spiegarmi cosa lo faccia innescare, e mi sono dovuta iscrivere a psicologia per trovare delle risposte, che ovviamente non ho trovato, almeno non là. Ed ancora oggi piango quando mi insulta, a ventisette anni ancora lotto per soffocare e per comprendere l'odio e la rabbia, ed è difficile nonostante il grande aiuto che per fortuna ho avuto il coraggio di chiedere. Lotto per non sentirmi sbagliata, lotto per sentire che c'è dignità nella mia vita e che dopotutto valgo qualcosa più di un bel niente, e per non vederla come lei vede il mondo, bianco o nero per non odiarla quando mi odia e per non amarla quando mi ama. Cerco di modulare le emozioni, di non farle dipendere da quelle degli altri. Di essere protagonista è non specchio.
E di tutto questo fardello pesante mi è rimasta la paura che ho di diventare come lei, che si è ammalata per la paura di non essere abbastanza, per la paura di essere sbagliata. Ed ho paura di crollare su me stessa e non essere più in grado di ragionare ed amare qualcuno in maniera normale. Perché ve lo assicuro la devianza non è una cosa divertente, la patologia è affascinante solo nei libri. Ed allontanare le persone che si amano per paura di fargli del male è disumano e straziante. E rende fragili, rende manipolabili.
Tutto sommato so che esisto, che la mia vita è qualcosa di unico ed irripetibile, ed il passato, per quanto possa essere pesante può smettere di condizionare il presente e quindi sono positiva, guardo avanti e penso a me stessa senza sentirmi in colpa per non essere come verrebbero gli altri, provo ogni giorno a sentirmi degna dei miei desideri e sogni sapendo che la felicità è uno stato d'animo che si conquista piano piano. E che la più grande paura da combattere è la paura stessa.
lunedì 26 settembre 2016
Parole, parole, parole.
Quante volte mi sono trovata a riflettere sul significato profondo di certe importanti parole e puntualmente mi sono persa tra illazioni, ipotesi ed esperienze passate senza trovarne il punto. A questo proposito sono alcuni giorni che mi trovo a pensare; quotidianamente ci esprimiamo cercando di far coincidere i nostri pensieri, stati d'animo emozioni e sensazioni con le nostre parole; per qualcuno è un gioco da ragazzi per altri un'impresa titanica. Padroneggiare la parola, usarne il suo fascino oppure esprimere con chiarezza un pensiero e saper ridare un'immagine, una fotografia di un evento passato fedelmente, è un dono. Ci sono tuttavia parole che esistono più per convenzione, poiché il loro significato è arbitrario, basti pensare alla parola più usata ed abusata al mondo (no, non ikea)
Amore. Quante volte abbiamo usato la parola amore ? Ma se vi poneste seriamente la domanda "cos'è l'amore, cosa si intende realmente con questa parola?" Sono certa che sarete pronti a snocciolare tutta una serie di aggettivi, luoghi comuni, frasi e citazioni rubate a film, poeti, testi filofisofici. Ma se vi chiedessi di raccontarmi un momento in cui avete provato questo sentimento che tutti chiamiamo "amore" cosa mi rispondereste? Non lo so, ma sarei veramente curiosa di saperlo, io posso parlare solo per me, e vi posso dire che dopo averci riflettuto ampiamente sono arrivata ad una sorta di punto chiave; per me l'amore deve corrispondere con l'azione, ed a questo punto mezza platea si alza. Eh si, perché le parole, nella mia esperienza, non aiutano, non esprimono non sono sufficienti. Ho avuto un'infinità di relazioni basate sulle belle parole, e non intendo solo quelle sentimentali ma anche di amicizia. Ci si conosce ed in un attimo si diventa "amore" ho imparato sulla mia pelle a diffidare di questi millantatori perché io probabilmente sarò razionale nella mia idea di amore ma loro non si avvicinano nemmeno alla lontana idea. Esserci è amare, sacrificare la propria individualità senza soffrirne è amare, costruirsi ed aiutare l'altro a farlo senza calpestare la sua libertà è amare. Tutte cose molto tangibili, perché per me l'aleatorio e l'astratto mal si conciliano con la natura umana sono indiscutibilmente concetti affascinanti ma il quotidiano delle relazioni ha bisogno di cose reali per esistere. A queste parole mi vengono in mente quelle di un professore di filosofia che mi disse "le donne non sono capaci di slanci idealisti" lì per lì ci rimasi di stucco ma ad oggi ripensandoci credo che abbia ragione, le donne vogliono viverli gli slanci idealisti li vogliono rendere reali e non solo vacue e belle parole quelle le lascio agli altri.
venerdì 23 settembre 2016
Cercasi personale: solo bella presenza
Oggi ho avuto il dispiacere di intraprendere una conversazione tanto irritante quanto ricca di spunti con un avventore abituale del locale dove lavoro; il suddetto signore è un commerciante di chincaglierie lussuose e, per me, completamente inutili.
Per sapere che ore sono non credo serva spendere cifre a tre o piu zeri ma questa è una considerazione personale. Comunque il suddetto tipo, 38enne dal portamento ingobbito e dallo sguardo bieco, viene tutti i giorni intorno alla stessa ora ed ogni giorno si limita a sorseggiare il suo caffè con aria di supponenza e insicura superiorità spiccicando pochissime parole e per di più fastidiose. Io, ogni volta che lo vedo lotto con la voglia matta di dirgli "che ce torni a fare se ti fa tutto schifo?"ma conoscendo bene il vademecum del lavoro al pubblico cioè "il cliente ha sempre ragione" mi tappo sapientemente la bocca e fingo noncuranza. Oggi, tuttavia, mi ha voluto togliere ogni dubbio sulla sua presunta stronzaggine parlando più del solito. Come se la giornata non fosse stata già abbastanza pesante si avvicina in cassa per pagare il conto e con fare spocchioso mi chiede informazioni su una ragazza, la tizia in questione era una biondina avvenente, almeno per gli stereotipi vigenti, di 19 anni che più di un mese fa venne al locale per fare una prova andandosene, oltretutto, prima di finire il servizio e lasciandomi nei guai. Il signore mi ha interrogata sul perché la ragazza non fosse stata assunta, sentenziando con testuali parole " avete sbagliato completamente, ragazze così sai quanti clienti attirano, quando l'ho vista ho pensato da oggi verrò più volte in questo bar" a queste parole sono rimasta allibita, prima di tutto perché sono una donna e, per quanto abbia una forte autostima, far riferimento anche in forma allusoria al fatto che io e/o le altre donne che lavorano nel locale non siamo abbastanza attraenti è da villani. Poi ho pensato a questo stereotipo diffuso in maniera paurosa; la donna che lavora al pubblico dev'essere a tutti i costi bella o provocante o ammiccante. Il motivo? Forsem certi clienti, pensano che comprando un caffè comprano anche l'attenzione, se pur minima, della suddetta. Oppure, ipotesi anche più aberrante, comprano il caffè o qualsiasi altra cosa non perché gli vada davvero ma solo per raccogliere un sorriso o una parola o anche solo per guardare chi li sta servendo. Perché non si può semplicemente andare in un locale o posto pubblico per il servizio che quel posto dà. Questi "uomini" che cercano pompatine di ego facili facili si rifocillano pensando "dopotutto la biondina mi ha sorriso, forse non sono malaccio, anzi sono un gran figo" dell'idea che ti abbia sorriso perché è semplicemente gentile nemmeno l'ombra vero? Dell'idea che sia squallido, fastidioso e fuoriluogo fare i marpioni mentre qualcuno sta lavorando idem immagino.
Quanto trovo triste e antica la dicitura "cercasi personale solo bella presenza" come se per servire un caffè o farcire un panino fossero necessari occhi blu, sedere perfetto e pettorali da urlo, pettorali si perché, anche se in minor misura, anche le donne sono comprese in questo circo.
Il tipo di oggi mi ha comunque confermato che sono necessari, a meno che non si desideri una clientela educata ed interessata solo a consumare le vivande e non a consumarsi gli occhi appresso a qualcosa che mai potrebbero avere. Spero nel cliente 2.0 versione aggiornata che venga, consumi e da dove entrato se ne vada senza troppi problemi. Sognatrice? Probabile.